Da piccolo mi era stato promesso “un weekend prendiamo la macchina e andiamo a vedere lo zoo di Pistoia”. Non è mai accaduto ma la curiosità verso Pistoia mi è rimasta nei secoli dei secoli.
Quale miglior occasione se non il 2017, in cui Pistoia è celebrata come capitale italiana della cultura, per visitarla?

L’arrivo a Pistoia e la domanda più importante: cosa vedere?
Su Pistoia non esistono guide. Si trova poco on-line, men che meno off-line. A Pistoia quest’anno si viene per gli eventi o per curiosità ma la sua compressione tra le infinite opportunità di Firenze e la caccia ai tesori a ogni angolo di Lucca, qui si sente.
Quando all’hotel chiediamo “che consigli ci date?”, la risposta è stata chiara: “chiedete all’APT”.
Non voleva essere scortesia, ma secondo me la mancanza di abitudine alla narrazione. Ci va ancora peggio quando andiamo all’ufficio di informazioni turistiche. Un signore più o meno mio coetaneo (ma chi può dirlo? Con me le creme fanno miracoli!) ci accoglie mentre sciure impellicciate fanno il pieno di volantini che pubblicizzano gli outlet del fiorentino.
“Signor APT, cosa ci consiglia di fare, poiché restiamo solo oggi?”
“Qui c’è la cartina, qui gli eventi, qui i musei.”
“Un consiglio…?”
“…”
Il signor APT strappa da sotto il banco una cartina e ce la allunga insieme a due elenchi fotocopiati. In uno, gli appuntamenti del mese di ottobre. Nell’altro, i musei. Sembra si siano organizzati all’ultimo secondo: non c’è cura, non c’è amore – c’è urgenza. Comunque niente da fare: il signor APT non riesce proprio a darci un consiglio. Allora mi gioco il poker d’assi, con nonchalance, da guida di viaggio esperta…
“Ho sentito che c’è un museo dedicato alla chirurgia di una volta…”
“Sì, ma dovevate prenotare entro ieri. Vede, c’è scritto.”
Pistoia, Pistoia… perché non mi vuoi bene?
Ok, ci rinuncio: Pistoia non vuole proprio essere visitata da me. Forse il sabato non è un buon giorno, forse l’autunno ha la colpa di arrivare quando l’anno come capitale europea della cultura sta già finendo e preferiscono un po’ tutti tornarsene a quando c’erano meno turisti.

Non ho trovato il Globo, né i libri di viaggio. Ma un’ottima sezione dedicata ai bimbi e… il caffè!
Ci districhiamo lungo il centro non a causa di una folla inaudita, ma perché il sabato è giorno di mercato. Il caro vecchio mercato che invade ogni angolo. Non il mercatino di oggetti rari, ma quello delle bancarelle con ammassati indumenti a caso, dove ci sono le imitazioni dei profumi di marca, dove le caramelle vengono vendute insieme ai giocattoli made in China (attenzione: contiene ftalati). Non proprio l’ideale per chi voglia scoprire la città. Che infatti non scopriamo.
Non avendo ancora capito cosa ci sarebbe da fare e non riuscendo a vedere neanche le facciate degli edifici, incastrati tra un milione di bancarelle, gettiamo la spugna. Decidiamo di mangiare sui colli e di passare il pomeriggio a Lucca. Ma non prima di aver visitato una libreria indipendente (sono il solito feticista). Si tratta della Libreria del Globo, ottima alternativa alle solite catene per scovare qualche libro carino.
Per fortuna, a Pistoia si mangia. Molto bene.

A pranzo ci siamo deliziati all’Osteria del Vecchio Olivo, sui colli di Lucca. Servono altri commenti?
Già. Questo, lo sapete, è uno dei miei focus. Un weekend mordi e fuggi contiene di per sé il verbo mordere. La ricerca di un posto fuori porta dove pranzare, ci porta in mezzo agli ulivi, all’Osteria del Vecchio Olivo, più alle porte di Lucca che di quelle di Pistoia, dove c’è chi viene conquistato dalla mitica fiorentina e chi, come me, da un primo spaziale. E dagli antipasti. Ah, gli antipasti!
Però questo è nulla rispetto a quanto accade la sera. Illusi come siamo, abbiamo provato a chiamare qualche ristorante, qualche pizzeria, qualche trattoria… Per poi ricordarci che è sabato e che è ovvio che sia tutto pieno. Vabbè, facciamo due passi in centro: c’erano così tanti locali che è impossibile non trovare posto. E invece.
Camminiamo senza sosta, saltando di vetrina in vetrina, di veranda in veranda. E capiamo una cosa: a Pistoia si viene per mangiare. Pizze giganti e super buone fanno a gara con hamburger di chianina, mentre i risotti non lasciano mica che i pici o i troccoli trionfino più di loro. Ristoratori stragentili e camerieri indaffarati e sorridenti purtroppo non possono far altro che ripeterci: “ci spiace, non abbiamo posto. Forse dopo le 22“. Forse.
Un attimo prima di gettare la spoglia e consegnarci al Roadhouse Grill, Seba trova un’opzione divina.
Pizzeria Sheva a Pistoia: la nostra piccola scoperta inaspettata
Guardiamo le recensioni su Google: buone. Guardiamo le foto e pensiamo: oh no. Da snob abituati a vedere ormai solo locali hipster o shabby chic, storciamo il naso di fronte alle immagini del perlinato alle pareti. Telefoniamo quasi sperando di sentirci dire che non c’è posto. Invece, si sta liberando un tavolo. Andiamo?
Usciamo dalle mura (che a Pistoia sono solo un piccolo ricordo, a sprazzi – un po’ come a Milano) ed entriamo in un quartierino di casette piccine picciò. Giriamo qualche angolo, ormai abbiamo la certezza che ceneremo a casa di una sciura Maria. Invece una piccola insegna bianca recita: Sheva. All’interno, confusione da sabato sera, un locale vecchiotto e nato ai bordi di periferia. Restiamo?
Sì, rispondo le nostre pance, per noi. Il tavolo sarà pronto tra poco. Una ragazza ci chiede:
“Possiamo offrirvi un prosecco nel frattempo?”

La mia margherita con distesa di basilico: Francesca della pizzeria Sheva ha interpretato perfettamente il mio gusto!
Un’extra gentilezza a cui non siamo più così abituati
Dici vero? Brindiamo felici, ci accomodiamo in una saletta e ordiniamo le pizze. Che arrivano super-veloci, giganti, buonissime e leggere. Accompagnate dalla ragazza (Francesca), che è simpatica, sa fare bene il suo lavoro e fa pure di più. Alla mia richiesta di “tanto basilico” in fase di comanda, lei mi porta una pizza che di basilico in effetti ne ha tanto. Tantissimo! Felice io. Lei, seria ed empatica, mi chiede:
“Se ne vuoi ancora, ne faccio aggiungere”
Ok, Francesca in 15 minuti ha fatto quello che in Disney ci vogliono mesi perché il nuovo staff lo incorpori: exceed guest expectations.
Non ci sono manuali, non bastano i corsi, non servono premi e punizioni. Ci vogliono buon senso, amore per il proprio lavoro e un ambiente caldo, accogliente.
Non perfetto, non chic, non all’ultimo grido. Vero. Tanto vero.
Chiediamo a Francesca cosa c’entri il nome Sheva con una pizzeria a conduzione familiare.
“Doveva essere Shiva ma hanno sbagliato l’insegna.”
“Ah. E come mai Shiva?”
“Gabrieleeeeeeee… diglielo te!”
Gabriele è il titolare, nonché fidanzato di sua sorella. Lui voleva chiamarla tipo “Il posto dell’altra volta”. Ma era troppo lungo. Il primo nome che gli era venuto in mente era Shiva.
“Sei stato in India?”
“Ma figurati!”
Cara APT di Pistoia, come ci organizziamo per il 2018?

Viuzze carine ne abbiamo? Certo!
Gabriele, la sua ragazza, sua cognata, la mamma di un suo amico… La squadra è famiglia. E non mi stupisce che la pizza sia buonissima, che i clienti siano affezionati, che la follia aleggi un po’ ovunque. Che io ricorderò Pistoia non per i musei, non per il materiale informativo, non per i bar hipster. Ma per una pizzeria periferica che dovrebbe poter insegnare a chi lavora nel turismo come si accolgono, coccolano, stupiscono i viaggiatori. Coloro che ci scelgono oggi e che saranno determinanti perché altri ci scelgano nel futuro oppure no. Anche senza un nuovo payoff.
Pistoia: la città con i ristoratori più gentili d’Italia.