
Pietro Princi ha trent’anni e ne dimostra meno. È figlio d’arte: suo papà ha fondato uno dei panifici più famosi di Milano. Pietro ha imparato a fare arte, quella della pasticceria in particolare. Levataccia dopo levataccia. Impastando, imparando, sbagliando, rimettendosi a impastare. È un esperto pasticcere. E non è neanche la sua dote migliore.
Andiamo a fare colazione da Princi, che ci passa il jet lag
Sabato scorso, colazione da Princi in 25 aprile. Se abiti a Milano, conosci Princi come le Colonne o l’Alcatraz. I suoi bastoncini alle olive e una focaccia che piace pure a un genovese pittimino come me. Per inciso: è il primo posto in cui un compagno di università mi ha portato a fare merenda dicendomi “è il non plus ultra” nel lontano… Tralasciamo.
A Seba esplode un bicchiere di spremuta tra le mani. Letteralmente. Credo il maestro Yoda sarebbe così fiero della sua capacità di allenare la forza. Spremuta ovunque, la Zanzi miracolosamente illesa, io che spruzzo sangue come neanche in Kill Bill. Ok, mi sono fatto solo un taglietto. Vado dalla ragazza in cassa e le chiedo di parlare con un responsabile: ci tengo a raccontare cosa è successo – si sa mai una partita di bicchieri difettosa. Lei rimane stranita: non sono né arrabbiato né in procinto di fare causa. Voglio solo parlare con un responsabile. Mi introduce a un ragazzo in borghese, che fa colazione con degli amici.
Eccolo, Pietro.
Non devo dire granché. Salta in azione, prima di tutto nel prendersi cura della mia sorpresa. Perché non è disagio, è proprio “oh porca vacca, cosa ci è successo”. È accogliente, è gentile, è dispiaciuto.
Poi si ferma con noi quasi mezz’ora e non si premura solo di farci avere una nuova abbondantissima colazione. Ci racconta della sua famiglia, di papà Rocco che ha intuito ed entusiasmo infiniti. Gli interessa sapere chi siamo e cosa facciamo.
Lui i dolci non solo li sa fare. Sa capire chi è bravo a farli e chi può imparare. Lui sa che la cosa più dolce che si coltiva in luogo che fa cose buone, sono le relazioni. Pietro è uno che ha ereditato un mestiere e un luogo dove svolgerlo e ha capito che la sua arte è molto più ampia.
Bella fortuna, essere i proprietari. Aha.
Alzarsi prestissimo per un lavoro che si ama rende la pillola molto più leggera. Ma è pur sempre una pillola e non un profiterole. Svegliarsi in piena notte perché si è travolti dalle idee è un miliardo di volte meglio che svegliarsi per la paura di non farcela. E piano piano il bellissimo lavoro diventa una specie di dissennatore. Ok, questa era estrema. Diciamo che non c’è mai un momento in cui ci viene voglia di dire “ok, mo’ basta, però”.
Pietro è qui, in un sabato mattina con gli amici. In borghese ma mai off-line. È uno che si comporterebbe allo stesso modo anche se il negozio non fosse il suo. È uno che sente. È uno che ha capito. Passa più tempo in ascolto, che su instagram.
Ha capito che la differenza che facciamo nel mondo è fatta di cosa facciamo e di come lo facciamo. È fatta di coerenza e di cuore. Di esserci e non nasconderci. Di dare al cliente molto più di quanto chiede. Di anticipare i bisogni e usare empatia.
Ha capito che il mondo è già migliore, se lo vogliamo.