L'ingresso ad Auschwitz attraverso la tristemente celebre scritta Arbeit Macht Frei

Non servono altre descrizioni. Non serve dire dove’è. Tutti conosciamo questo luogo, quello il cui pay-off è questa frase in tedesco. Non è un franchising eppure ha avuto varie succursali in Europa. La gestione diretta di terrore e sterminio accadeva pochissimo tempo fa. E noi ce lo ricordiamo una volta l’anno.

Siamo stati ad Auschwitz. Gita sarebbe il termine di qualunque giornata fuori porta, a un museo o a un memoriale. Ma come si fa a chiamarla così, questa volta?

Vorrei scrivere questo post senza essere patetico, senza usare luoghi comuni, senza dire qualcosa di scontato. Vorrei dare il mio piccolo contributo a una storia che non si può non ricordare. A Berlino, un monumento porta l’elenco dei campi di concentramento e di sterminio con un titolo che ricordo senza sforzo dal 1999: i luoghi del terrore che non possiamo permetterci di dimenticare.

Benvenuti ad Auschwitz

Un binario che non porta speranza ma solo morte ad Auschwitz-BirkenauI carri bestiame arrivavano carichi di prigionieri. Venivano fatti scendere dai vagoni a mazzate, con urla e violenza, con i cani aizzati contro. L’ufficiale medico li divideva subito: l’80% di loro andavano dritti dritti alle camere a gas. Non una parola, solo la rotazione di un pollice. Destra o sinistra. Morte immediata o tortura.

I condannati seduta stante credevano di andare a fare la doccia, dopo un viaggio che durava da 4 a 7 giorni, tra cacca, amici morti a un passo da loro, aria irrespirabile. Forse il meglio deve ancora venire. Ricordatevi il numero del vostro attaccapanni – troverete le vostre cose all’uscita. Sul soffitto dell’ultima stanza che i prigionieri vedranno, tante docce da cui non è mai uscita acqua. E poi il Zyklon B. Chi muore in pochi secondi, chi ci mette minuti e minuti. Donne, bambini, anziani, disabili. Persone inutili per il regime, da ammazzare immediatamente.

Chi è rimasto sulla banchina merita di essere annientato. Un ufficiale dà il benvenuto alla loro ultima destinazione. Memento mori. Resisterete poche settimane al massimo. Lavorerete e morirete ogni giorno un po’ di più. La divisa, la sostituzione del nome con un numero, il pasto inesistente, gli incubi al posto del sonno. I treni, così spesso messaggeri di speranza, di rinascita a nuova vita, qui erano postini di morti imminenti. Uno dopo l’altro.

Auschwitz, un non-luogo come troppi

Quando arriviamo in questa cittadina polacca che ha imparato a gestire turisti di tutto il mondo, multilingue molto più di Cracovia o di Varsavia, mi sembra di essere a Peschiera del Garda. Catene di fast food per soddisfare chi si ferma una notte. Hotel e centri commerciali, kebabbari e negozi che vendono magneti. Orde di persone che scendono dai pullman granturismo, alla ricerca forsennata di un wifi.

E poi quella scritta. Arbeit Macht Frei. Rivisitazione sadica di Ora et labora. Del lavoro che nobilita l’uomo.

La visita guidata ai campi di sterminio

Ad accompagnarci attraverso Auschwitz 1 e Auschwitz 2-Birkenau è un signore polacco con una ricchezza di vocaboli italiani che è propria di chi una lingua la coltiva con amore. Fare la guida ad Auschwitz non dev’essere un lavoro facile. Due volte al giorno per tre ore e mezza ripetendo una storia mostruosa. La voce gli diventa bassa e gli occhi sono lucidi in alcuni momenti. Quelli in cui non vuole solo raccontarci una storia, ma lasciarci un messaggio.

All’inizio si fanno foto ovunque. Ci vogliamo appiccicare sulla pelle un luogo del terrore che non deve essere dimenticato rapidamente come i mille reperti che vediamo in un museo. Tutti. Tante, tantissime foto. Il selfie non serve proibirlo: viene praticato solo da due ragazze orientali e mi convinco sia un fatto culturale, non una semplice superficialità.

Sorrisi non se ne possono vedere. Non viene fame, non scappa neanche la pipì.

Filo spinato e la condanna della speranza ad Auschwitz.Siamo praticamente strozzati dalle emozioni di qualcuno che non abbiamo conosciuto e che potrebbe essere nostro fratello. Non uno, non dieci. Oltre un milione. Sono così tanti, che non puoi contarli, non puoi immaginarli. Come nella stanza in cui c’è qualche tonnellata di capelli. Quelli che venivano tagliati a chi moriva nelle camere a gas, prima di cremarne i corpi. Capelli al posto del filo per tessere le stoffe. E ora ammassati dietro un vetro. Ciò che rimane di decine di migliaia di persone uccise ingiustamente, in vetrina per ricordare a tutti che no, non si può essere negazionisti. Passiamo in silenzio. Cerchiamo di immaginare dietro a quelle trecce una mamma, una nonna, una bambina.

All’esterno, tra i block trasformati in dormitori, refettori, bagni, uffici del terrore, c’è il sole. Alberi verdi diventati grandi. E gli uccellini che cantano. Sembra quasi ingiusto. Eppure la natura a volte è così. Sa distruggere e sa risolvere. Sa medicare e rendere meno orribile un posto orrendo. Fa tornare l’amore in un luogo che ha ospitato tanta tanta morte.

Come abbiamo fatto a dimenticarci dell’odio, di dove può portare la sua forza distruttiva?

La presa per il culo tra bambini, il bullismo tra adolescenti, il tweet contro le minoranze. Dove alla paura, all’ignoranza e alla rabbia viene lasciato uno spazio non in grado di trasformarle in crescita, lì nasce un altro olocausto. Lì, seminiamo tempesta. Come qui, ad Auschwitz.

Info pratiche

Auschwitz è raggiungibile con le visite guidate in giornata da Cracovia – ne troverete una valanga quando sarete in città.

Oppure, per essere sicuri di trovare quella nella vostra lingua, prenotate sul sito ufficiale con anticipo. Noi abbiamo fatto così. In quel caso vi consigliamo di noleggiare una macchina e pernottare a Katowitze, a un’oretta di distanza. Un’ottima occasione per visitare questa cittadina – in particolare il nuovissimo quartiere di design, dove una miniera ha lasciato spazio a cubi futuristici e musei sotterranei.

Non posso che concludere invitando chiunque abbia un briciolo di sensibilità ad andare ad Auschwitz. Senza aspettare troppo, perché ce n’è bisogno ora. Ora che la democrazia scricchiola e i diritti dei più deboli sono calpestati con ignoranza. Ora che credevamo lontana qualsiasi guerra. E invece. Ora, che più che mai la differenza la fa chi fa. Ed ogni occasione è quella giusta per fare qualcosa di buono, perché chi fa cose cattive ha sempre un tempismo perfetto.